Storia
Calco del San Procolo scolpito da Michelangelo per l'arca di San Domenico (tutte le foto sono di Michelangelo Ballardini)
La mostra "Michelangelo e Bologna" a palazzo Fava racconta la storia delle opere lasciate in città dallo scultore: la perduta statua bronzea di Giulio II e il trittico di figure scolpito per l'arca di San Domenico, San Petronio, un angelo portacandela e San Procolo. Se il primo santo non ha bisogno di presentazioni, il secondo è una figura più misteriosa.
Soldato romano cattolico e tirannicida, vescovo taumaturgo, forse nessuno dei due. Le fonti che abbiamo non riescono a dirci con esattezza chi sia stato Procolo, uno dei tre Santi martiri di Bologna insieme a Vitale e Agricola, perché poche e a volte in contraddizione. La conclusione a cui è più facile arrivare e che fa tornare tutto è che San Procolo martire a Bologna non sia mai esistito, che sia stato piuttosto un’icona, una figura ideale sfruttata anche a fini politici e strategici.
Eppure San Procolo viene menzionato nella triade di martiri bolognesi in ben due casi nei testi di due vescovi, nel “De laude Sanctorum” di Vittricio da Rouen dell’anno 396 e pochi anni dopo nel carme 27 di Paolino da Nola, in entrambi i casi accostato ad Agricola e Vitale. Tutto si regge su un dettaglio, il significato del termine procul, “lontano” in latino e del nome proprio cui diede origine. Procolo era un nome che veniva dato ai figli che nascevano mentre i padri erano lontani da casa in guerra o per affari. Vittricio, nel suo discorso in cui elenca le reliquie di Santi arrivati in città, scrive “Curat Bononiae Proculus Agricola et hic quoque horum cernimus maiestatem”. Curarono Bologna Procolo e Agricola e anche qui riconosciamo la loro grandezza. Ma se Procolo non fosse un nome proprio ma un’apposizione riferita ad Agricola? Non Procolo e Agricola, ma il procolo Agricola. Procolo perché lontano al momento del martirio, quindi della nascita alla vera vita oltre la morte, dal padre spirituale, il suo schiavo Vitale che lo aveva convertito al cristianesimo ed era stato giustiziato prima di lui. Analogo il discorso per il carme di Paolino che di Vittricio era contemporaneo e amico.
Cosa volessero dire veramente questi autori di sedici secoli fa non potremo mai saperlo con certezza, ma l’interpretazione di Proculus come caratteristica di Agricola e non come persona farebbe combaciare molti altri tasselli. Prima stranezza: nel martirologio più antico, quello di Geronimiano del 600, non c’è traccia di un San Procolo bolognese, ma di un San Procolo di Pozzuoli (Napoli) e uno di Terni, Umbria. Di fatti fino al 1075 non ci sono tracce di un culto di Procolo a Bologna. Difficile che la venerazione di un martire cittadino, se presente, non lasci tracce per gli oltre 600 anni che passarono dall’opera di Vittricio. La fonte del 1075 è un documento di proprietà di un monastero benedettino intitolato a San Procolo ed è qui che entra in gioco la politica. I Benedettini erano a Bologna per volontà del signore della città, Ugo dei conti di Spoleto, e dell’arcivescovo di Ravenna Gebeardo, che volevano usarli come strumento per contrastare l’ascesa della chiesa vescovile di Santo Stefano guidata da Adalfredo, sospettato di covare ambizioni di autonomia ecclesiastica indigeste sia al potere temporale bolognese che a quello ecclesiastico ravennate. I Benedettini si spostarono dunque a Bologna da Faenza, portandosi dietro i loro culti con influenze umbre, forse proprio di quel Procolo di Terni che diede poi il nome al loro monastero.

Pala della chiesa di San Procolo raffigurante il Procolo soldato e il Procolo vescovo
Sempre in questa vena del culto come politica si inseriscono le due leggende che nacquero attorno all’effimero Procolo di Bologna nel XII secolo. La prima raccontava di un Procolo soldato romano e cattolico, che a Bologna uccise nella prima metà del 500 il tirannico prefetto Marino venendo poi decapitato. Un Santo che si era battuto per la libertà della città contro un oppressore, specchio della situazione della Bologna di quegli anni, dove nel 1164 una sommossa popolare aveva ucciso il vicario dell’imperatore Federico Barbarossa. Ai Benedettini era certamente utile associare il proprio Santo a una figura tirannicida che si batté per l'autonomia di Bologna in un momento di astio cittadino verso l'imperatore che voleva egemonizzare il Nord Italia. La seconda leggenda, a distanza di pochi anni, raccontava invece di un Procolo vescovo capace di compiere miracoli, fuggito dalle persecuzioni umbre e martirizzato a Bologna dal re ostrogoto Totila. Anche qui era forte il parallelismo con l’attualità bolognese. Erano anni in cui quelli di Santo Stefano, i rivali dei Benedettini, sostenevano con successo la nomina di Petronio a patrono cittadino, cui serviva opporre un nome altrettanto forte e valido. Il colmo si ebbe nel 1390, quando l’abate Giovanni di Michele fece aprire l’arca contente il corpo del Santo. Dentro c’erano i resti di due scheletri diversi, avvalorando teoricamente entrambe le leggende.
La realtà è probabilmente che un San Procolo bolognese non sia mai esistito e che quello che è arrivato a Bologna fosse il culto del San Procolo di Terni trapiantato attraverso i Benedettini di Faenza. Per avvicinare, a fini politici, il lavoro di questi monaci alla città, Procolo divenne bolognese. La chiesa di San Procolo, in via d’Azeglio 52, fu infatti a lungo un centro politico importante per la città, ospitando le lezioni della neonata università di Bologna. Sulla facciata della chiesa campeggia ancora oggi un’iscrizione che ricorda il ruolo di aula dell’edificio e ironizza proprio sul duplice significato di procul. In italiano suona così: “Se Procolo fosse stato lontano dalla campana di (San) Procolo, ora Procolo dallo stesso (San) Procolo sarebbe lontano”. La ricostruzione più accreditata è che si faccia riferimento a uno studente di nome Procolo, che morì di fatica studiando nelle aule universitarie e venne sepolto nel campoSanto della chiesa di San Procolo. Se dunque Procolo fosse stato lontano dallo studio, cioè dalla chiesa di San Procolo, ora sarebbe lontano dal campoSanto di San Procolo. Il gioco di parole fra procul studente, chiesa e avverbio dà il meglio in latino: “Si Procul a proculo Proculi campana fuisset nunc Procul a proculo Proculus ipse foret”.

L'iscrizione del 1393 fuori dalla chiesa