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Woody Allen (foto Ansa)

«Com'è stato possibile che il ragazzino di Brooklyn, proveniente da un quartiere della medio-piccola borghesia degli anni ‘35, di enorme talento ma pessimo studente, sia diventato quello che è diventato?». È la domanda ardita a cui Mario Mucciarelli cerca di rispondere nel suo ultimo libro “Woody Allen. Film, amori e nevrosi”, edito da Sagoma, presentato in anteprima, questa sera alle 18, alla libreria Ubik di via Irnerio, in dialogo con Gianluca Morozzi, redattore dell'Annuario dei film Morandini.

 

«Una sfida, maturata dopo anni di studio e passione  Era una cosa che potevo affrontare, però è stata tosta, perché il genio di Allen ha vissuto e vive ancora», commenta Mucciarelli. La passione per il regista statunitense nasce negli anni ‘80, dopo la lettura della biografia americana scritta da Eric Lax. Qui inizia a guardare al ragazzino che riesce ad affermarsi grazie al talento umoristico, poi, da bolognese, le esperienze vissute al Lumière, all'epoca in via Pietralata, fino all’incontro. Di "sbriscio", mentre usciva da Palazzo d’Accursio, nel 1995. Allen era in concerto in città come clarinettista con il suo gruppo jazz.

 

Alleniano da sempre, l’opera è un resoconto che non lascia indietro  nulla del cineasta, la vita e la vasta produzione: «Abbiamo messo insieme il racconto del percorso, da quando era bambino, alla produzione cinematografica, con tutte le schede di film, ma anche le opere teatrali, i libri che ha pubblicato, senza tralasciare un velo inevitabile di comicità. Spero che sia divertente e che arrivi a tanti giovani come arrivò a me grazie a Eric Lax», spiega a "InCronac@" l’autore. 

 

La parabola di un giovane chiuso, allora solo Heywood Allen, soprannominato “the red”, “il rosso”, per il colore dei capelli, appassionato di giochi di prestigio, che ha affascinato il mondo. Vincitore di quattro premi Oscar, e un Leone d'oro alla carriera, nel 1995. Mai scontato, restio e ambizioso insieme, ha saputo affrontare con coraggio grandi problemi professionali. La sfida più dura giunge con il primo film “Prendi i soldi e scappa”: «Il primo montaggio era terribile, lo fece vedere ai produttori e tutti quanti erano d'accordo che il film non funzionava. Dovette intervenire un montatore, Ralph Rosenblum, a cui Allen mise in mano il materiale. Riuscirono, con un percorso non facile, a costruire insieme la pellicola che divenne poi il film di debutto», prosegue il racconto Mucciarelli.

E poi il tema del doppio, Woody persona e personaggio, comico al punto da diventare una maschera, modello identificativo per una fetta di maschi degli anni ‘60, si è spinto al punto da rischiare il macchiettismo. Non è mai successo: «Ha prodotto tante cose diverse, da film drammatici a molto divertenti. E poi ha avuto, da un certo punto in poi, uno sguardo molto adulto sulle cose della vita, in un periodo in cui il cinema americano era invece piuttosto infantile», spiega lo scrittore bolognese. Lucidissimo e spietatamente realista rispetto alle cose della vita, ma mai cinico. Ha camminato sul terreno minato del disincanto, un’arma a doppio taglio che ha usato, tuttavia, per offrire una prospettiva sorprendentemente attaccata alla vita. 

«C'è un piccolo film di Allen del 1984, che si chiama “Broadway denny rose”, che io consiglio a tutti, divertente e molto commovente, dove i buoni perdono, ma questo non vuol dire che non bisogna essere giusti. La vita è fatta così: non ha nessun senso, si muore dopodomani, non esiste Dio e non esiste la religione, è una fregatura. Nonostante questo bisogna cercare di essere giusti. Non ci riusciremo, fa lo stesso», è la risposta a metà che Allen è riuscito a formulare.