Basket

Renato Villalta

Renato Villalta, ex presidente e bandiera della Virtus Bologna ((immagine presa dalla pagina Youtube "Virtus Segafredo Bologna")

 

«Non vedi la stella brillare lassù?». Così Renato Villalta, ex presidente e bandiera della Virtus Bologna, rievoca a InCronac@ le indimenticabili Finali Scudetto del 1984 contro Milano. Una serie leggendaria culminata con la conquista della tanto ambita stella, ovvero il decimo scudetto per le Vu Nere. Villalta, protagonista di ben tredici stagioni con la maglia bianconera, arricchite da tre Scudetti e due Coppe Italia, offre il suo sguardo sulle Lba Finals Unipol 2025 tra la Virtus e la Germani Brescia, condividendo nel frattempo ricordi e riflessioni significative della sua carriera.

 

La Virtus è favorita contro Brescia in finale?

«Alle finali non esiste mai una favorita assoluta. Certo, la Virtus può vantare una grande esperienza, arrivando alla sua quinta finale consecutiva. Questo la rende sulla carta leggermente favorita. Hanno sviluppato negli anni l’abitudine a competere ai massimi livelli, un fattore non da poco».

 

Il fattore campo sarà determinante come ai suoi tempi?

«Conta, ma non è decisivo. Oggi si gioca al meglio delle cinque partite, mentre ai miei tempi bastavano tre gare. È vero, il calore del pubblico influisce, ma sono soprattutto gli stati d’animo e la condizione psicologica a cambiare le sorti di una partita».

 

Si rivede in qualche giocatore attuale della Virtus?

«Non amo i paragoni, perché il basket è un gioco di squadra. Si tende a esaltare chi segna, ma ogni ruolo è fondamentale: dal finalizzatore al passatore. Oggi il giocatore più rappresentativo è Shengelia. Un campione totale, un professionista esemplare. Senza le sue recenti prestazioni, forse la Virtus non sarebbe arrivata fin qui. Spero davvero che resti a Bologna, ma so che potrebbe partire quest’estate».

 

Come giudica finora la stagione della Virtus?

«Dipende tutto dallo Scudetto. Se dovesse vincerlo, salverebbe una stagione che, per ora, non ha rispettato tutte le aspettative. Si puntava alla Coppa Italia e a un buon percorso in Eurolega. Un eventuale trionfo in campionato meriterebbe un giudizio positivo».

 

C’è un aneddoto particolare che ricorda delle sue Finali Scudetto?

«Durante le Finali del 1984 vincemmo gara 1 a Milano, tornando a Bologna carichi di entusiasmo. Così cominciammo a preparare i festeggiamenti. Vincere di nuovo avrebbe significato conquistare la stella. Ma perdemmo gara 2 in casa. L’indomani ci presentammo all’allenamento con il morale a terra. Così mi avvicinai al nostro allenatore, Alberto Bucci, e gli dissi: “Ma non vedi lassù in alto?”. Tutti alzarono lo sguardo. Lui: “Cosa c’è?”. E io: “Non vedi la stella che brilla lassù?”. Tutti si misero a ridere. Quell’episodio stemperò la tensione. Tornammo a Milano e vincemmo, portando a casa lo Scudetto e la stella».

 

Ai suoi tempi c’era più attaccamento alla maglia?

«Oggi si guarda troppo al contratto. Io sono stato un’eccezione. Tredici anni con la Virtus. Oggi è raro che un giocatore resti così a lungo nello stesso club. È cambiato il senso di appartenenza. Ai miei tempi ogni squadra poteva avere solo due stranieri. Oggi ce ne sono anche sei o sette. Il mondo del basket, e dello sport in generale, è profondamente mutato. Le bandiere, ormai, sono quasi scomparse».