La vecchia squadra

La festa in città del Bologna dopo la vittoria della Coppa Italia 2025 (foto di Ludovica Addarii)
Cinquantuno anni. Poco più di mezzo secolo per ritornare a godere di quella lontana sensazione di vittoria del maggio 1974, quando il Bologna conquistò la sua seconda Coppa Italia, strappandola al Palermo ai rigori con un 5-4, dopo che la partita era finita con un pareggio (1-1). Ebbene, dopo tanto tempo, il club in mano al presidente Joey Saputo, all’amministratore delegato Claudio Fenucci e all’allenatore Vincenzo Italiano ce l’ha fatta; mercoledì 14 maggio, allo Stadio Olimpico di Roma, ha nuovamente brillato battendo 1-0 il Milan, grazie al gol del giovane giocatore svizzero Dan Ndoye. Certo, oggi la squadra è diversa, non è più quella del passato. Diversi erano gli schemi di gioco, le tecniche, il tifo, più sano (si può fare a meno di spiegare come stanno adesso le cose negli stadi, sugli spalti, tra botte e insulti). L’allenatore era Bruno Pesaola, il presidente Luciano Conti e, per quanto riguarda i giocatori, ci si poteva vantare di fuoriclasse come Sergio Buso in porta, Roberto Vieri (padre dell’altrettanto noto calciatore Christian, detto “Bobo”), di ruolo centrocampista, e il mitico capitano Giacomo Bulgarelli, per tutti “Giacomino”.
Nonostante i cambiamenti, la formazione del ’74, con tutte le sue gesta, vive ancora nel ricordo dei suoi giocatori, come Giuseppe Savoldi ed Eraldo Pecci, altre due “colonne” del Bologna di allora. Il primo, bergamasco, centravanti, ha portato la maglia rossa e blu dal 1968 al 1975, il secondo, riminese, altro centrocampista, dal 1973 al 1975 e di nuovo dal 1986 al 1989.
«Il nostro Bologna era affiatato, e la stessa città era eccezionale, accogliente. Eravamo in sintonia con i tifosi, andavamo persino a casa loro. Bologna è una città che ti porta a stringere amicizie», dice con soddisfazione Beppe Savoldi, a proposito del suo amore per la città e per il suo club calcistico.
«La squadra era formata da due o tre “anziani” reduci del campionato vinto nel 1964, tra questi il grande Giacomo Bulgarelli, che ha aiutato tanto noi giovani. Poi tra il 1970 e il 1971 la società ha deciso di ringiovanire la formazione», prosegue Savoldi nel suo personalissimo “amarcord”, cioè nel suo ripescare dalla memoria gli eventi più belli che hanno segnato la sua carriera all’ombra delle due Torri.
E dal suo flusso di reminiscenze non poteva non far riemergere quel giorno preciso del ’74, il 23 maggio, data dell’alzata della coppa, sempre all’Olimpico, attraverso un aneddoto particolare sulla partita.
«Ricordo, in fase di attacco, sulla linea laterale, di un contrasto tra due giocatori avversari e la palla era finita sulla pista di atletica leggera. Io ho guardato l’arbitro per capire chi doveva rimetterla in campo. L’ho presa e l’ho calciata verso Bulgarelli. Lui, vedendola arrivare, si è buttato giù, e così l’arbitro ha dato il rigore. Ho tirato io e ho segnato il gol».
La sera di mercoledì 14 maggio, a Bologna e a Roma, i tifosi hanno scatenato la loro contentezza con cori e fuochi d’artificio, riempiendo il cielo nero di festa e colore. Piazza Maggiore era gremita di gente, batteva un unico grande cuore cittadino. Un momento di soddisfazione oscurato pochi giorni dopo – per la precisione, domenica 18 maggio – dal match contro la Fiorentina, conclusasi 3-2, togliendo la possibilità ai rossoblù di giocare in Champions. Ma l’entusiasmo dei calciatori non è stato scalfito; l’essersi intascati la coppa ha permesso loro di potersi aggiudicare automaticamente il posto nell’“Europa League”.
Nonostante la batosta con la “Viola”, il parere generale di Savoldi sul team resta più che positivo.
«Il Bologna di oggi è costruito bene, con persone eccezionali che sanno il fatto loro, da tre anni a questa parte. Giovanni Sartori ha certamente fatto un buon lavoro», dichiara citando il responsabile tecnico del gruppo.
Secondo i pronostici era il Milan il più papabile a trionfare mercoledì, eppure non è stato così, e il Bologna, quasi silenziosamente, non si è lasciato scoraggiare e ha giocato bene, rivelando all’ultimo tutta la sua potenza.
«La squadra si è comportata benissimo. Il Milan, più blasonato, “doveva” vincere, Bologna invece non aveva niente da perdere. Secondo me è stata la sua tranquillità a fare la differenza. Ha meritato il successo». E ancora «la sconfitta con la Fiorentina può essere nata proprio dalla vittoria sul Milan. Ma tanto c’è la possibilità della Coppa Uefa, l’obiettivo è stato raggiunto. Nel calcio queste cose sono all’ordine del giorno, l’importante è avere le motivazioni. C’è sempre qualcosa a livello inconscio che ti fortifica o ti rilassa».
In attesa dell’“Europa League” per tutti i tifosi – e per quelli che non seguono il calcio ma amano il capoluogo emiliano e si immedesimano nei ragazzi che simboleggiano i piedi della città dotati di “tacchetti” – risulta interessante l’opinione in più di Eraldo Pecci.
«Passa il tempo e cambia tutto. Prima c’era un altro modo di pensare il gioco, adesso è tutto diverso, il calcio ora mi piace di meno. Allora il Bologna era una buona squadra, con Savoldi, Bulgarelli. Era una società che poteva contrastare tranquillamente Milano, Torino, non era affatto un’eccezione. Adesso è da due anni che sta conseguendo ottimi risultati. Non bisogna dimenticare che il calcio deve regalare gioia, e ai miei tempi la gente tornava a casa contenta», sono le sue parole sull’andamento del team negli ultimi anni.
Per quanto riguarda quel fatidico giorno del ’74, anche Pecci ha il suo ricordo personale.
«Tornammo a casa con la coppa memori del fatto che nel calcio, come nel resto dello sport, bisogna vincere, e se vinci è perché hai giocato bene le tue carte. Io ero molto giovane, avevo appena diciannove anni, e quando sei così giovane pensi che tutto ti sia dovuto. Forse non mi ero reso davvero conto che avevamo vinto».
Dalle parole di Pecci traspare, inoltre, l’amore immenso per la Dotta, una città viva, giovanile, aperta, custode di avventure e scorribande serali.
«Bologna è la mia città di adozione, e quando ero ragazzo era uno spasso, non si andava mai a dormire, c’erano le osterie, l’università, le ragazze, un sacco di giovani. La gente era di buon umore, era una città ideale per crescere. Uno che viene da fuori si trova a suo agio. Mi dispiacque molto lasciare la città per andare al Torino».
Non mancano pure qui le osservazioni sulla “creatura” di Saputo e Italiano, sui suoi errori e i suoi meriti, e poi sugli ultimi avvenimenti, dal trionfo con il Milan alla disfatta con la “Viola”. A proposito della vittoria, il parere di Pecci è inequivocabile, sincero. «È meritata in pieno, abbiamo fatto meglio del Milan. È stata una finalissima importante, di livello, e quindi c’è orgoglio e felicità».
Sulle prospettive del Bologna Football Club 1909, con la sua lunga e gloriosa storia, l’ex centrocampista appare fiducioso, esattamente come il suo ex compagno di gioco Savoldi, per i prossimi risultati da ottenere, dando così risalto alla sua incrollabile passione rossoblù.
«Per il suo futuro, bisogna dire che il gruppo fa un passo alla volta, con misura, e cresce di anno in anno. Il debito è accettabile, siamo in una situazione invidiabile e intelligente. Certo, non si può competere con società che hanno e sfruttano miliardi di euro, però credo che il via che ha preso la squadra ci stia regalando gioie che potranno continuare».
E certamente queste soddisfazioni non finiranno. Nonostante la recente sconfitta contro il Genoa di sabato 24 maggio al Dall’Ara (finita 3-1, con l’attaccante Riccardo Orsolini che ha spedito il pallone in rete per la quindicesima volta in questo ultimo campionato), il Bologna non si è affatto buttato giù e domenica 25 ha condiviso con i suoi tifosi il bottino della Coppa Italia sul suo pullman scoperto che ha girato a passo d’uomo per le vie della città, abbellite da tante bandiere sventolanti. Le prodezze di questi calciatori continuano. Al momento della chiusura del giornale è stato raggiunto un accordo di massima sulla conferma di Vincenzo Italiano fino al 2027, alla guida di una squadra che pensa in grande e sogna di conquistare l'Europa.
L'articolo è tratto dal Quindici n.4 del 29 maggio 2025