L'opinione

Gian Carlo Sangalli (foto Senato della Repubblica)
«Le fondamenta per la crescita che oggi vive il Marconi le costruimmo noi vent'anni fa. Sul rapporto fra Bologna e gli altri aeroporti in regione credo che oggi come allora la soluzione passi da Rimini». A parlare è Gian Carlo Sangalli, che di aeroporti emiliano-romagnoli se ne intende. Già senatore del Partito democratico e segretario nazionale della Cna, è stato presidente della Camera di commercio di Bologna tra il 1998 e il 2008, nel periodo in cui l’ente era socio di maggioranza dell’aeroporto Guglielmo Marconi. Nel 2004 lo scalo fu soggetto ad ampi lavori di ammodernamento che lo spinsero a cercare un’associazione con il Ridolfi di Forlì, che però non finì bene. La questione di una maggiore cooperazione, se non fusione, tra gli aeroporti emiliano-romagnoli era già presente all’epoca, lo abbiamo contattato per chiedere quali soluzioni fossero state ipotizzate e come si potrebbe intervenire oggi.
Sangalli, il Marconi è vicino al punto di saturazione, quale può essere una soluzione?
«Posso dirvi cosa avevamo ipotizzato vent’anni fa, perché non conosco dettagliatamente la situazione odierna. All’epoca il Fellini a Rimini era in difficoltà. Quello che proposi al presidente della Regione Errani era di creare un unico aeroporto con Bologna, diviso in due piste. A collegarli sarebbe stato un treno veloce, senza fermate intermedie fra le due città, su cui sarebbe stato anche possibile fare il check in. Non avrebbe richiesto neanche grandi interventi strutturali perché i binari sia a Borgo Panigale che a Rimini passano già vicino agli aeroporti. L’ispirazione ci venne da alcune grandi città europee che già avevano servizi simili come Londra o Francoforte».
Anche l’attuale presidente del Marconi, Enrico Postacchini, parla di intese con Rimini, forse il suo piano non è così obsoleto.
«Può sicuramente essere un progetto sensato. Rimini è uno scalo rivolto verso l’Est europeo e globale, Bologna verso l’Ovest e il cuore d’Europa, potrebbe nascere un’are di business importante. Certo è che in Italia di hub aeroportuali ce ne sono già due, Roma e Milano, sarebbe la terza. E gli altri paesi europei di norma ne hanno una».
Se la collaborazione Bologna-Rimini dovesse effettivamente realizzarsi, Forlì che è in mezzo fra le due, che fine farebbe?
«Se dovesse verificarsi questo scenario per Forlì sarebbe probabilmente necessario rinunciare a essere uno scalo per passeggeri e specializzarsi in altro, come le merci o come punto di studio, ricerca o anche militare. In città è già presente il corso di ingegneria aerospaziale dell’Università di Bologna e si sta un po’ alla volta concretizzando il progetto regionale per il polo tecnologico aeronautico-spaziale».
L’Ente nazionale aviazione civile ha chiesto che il Marconi si faccia carico del 30% del Ridolfi di Forlì, un’acquisizione che si era già verificata ai suoi tempi, come andò?
«Nel 2004 a Bologna facemmo i lavori per ampliare e ammodernare l’aeroporto. L’obiettivo era renderlo uno scalo con rilevanza internazionale. Vennero costruite l’aerostazione per i voli privati, la business lounge, fu allungata la pista e altro. Mentre il Marconi era fermo per i lavori dirottammo molti voli su Forlì, dove avevamo acquistato un terzo delle azioni del Ridolfi».
Poi cosa successe?
«Rientrata l’esigenza tecnica, non era né conveniente né utile tenere il Ridolfi. C’erano poco traffico e pochissimi voli e anche le compagnie low cost preferivano Bologna. In cinque anni ne siamo usciti un po’ alla volta ridandolo alla Regione. È anche vero che all’epoca al Marconi lo spazio non mancava, c’era la metà del volume di passeggeri di oggi. Già allora uno studio fatto dopo l’ampliamento ci diceva che il massimale di persone che avremmo potuto far transitare ogni anno sarebbe stato fra i 10 e gli 11 milioni».
Come crede si risolverà la situazione fra Marconi, Enac e Regione? Anche De Pascale insiste per una maggiore integrazione degli aeroporti.
«Quello che so per certo è che se Bologna dovrà muoversi da sola, senza contributi regionali o nazionali, andrà dove c’è la possibilità di fare investimenti che fruttino. È una società quotata in borsa, con gli azionisti non si scherza».