Concerti

Mahmood (foto Ansa)
La tappa bolognese del nuovo tour di Alessandro Mahmood è un tripudio di folla, di smartphone che immortalano i momenti di un live che vorrebbe certamente celebrare la musica, ma che in fin dei conti celebra sopratttutto il corpo. Un inno senza remore alla fisicità calamitante del cantautore italo-egiziano, il corpo nudo velato da stoffe rosse e trasparenti che riempiono la scena. Una bella voce poco incline all'utilizzo smodato dell'autotune, in un'epoca dominata dalle sequenze di strumenti campionati e di frammenti di playblack che si inseriscono in un "vivo" che appena respira.
Eppure, è proprio la musica a passare in secondo piano, relegata a una mini-band nascosta negli angoli morti del palcoscenico. L'attenzione è canalizzata e forzatamente focalizzata sull'unica vera attrazione del concerto. L'attrattiva del sex appeal di Mahmood che, nelle intenzioni, nelle espressioni e nelle movenze, lo esalta, lo fa emergere tra il corpo di ballo tutto al maschile e tutto furbescamente più basso di lui. Uomini, donne e bambini che attendono con impazienza le prime note di "Soldi", di "Tuta Gold" e di "Ra ta ta". E l'arena si trasforma in una mega discoteca anni '80, un po' massimalista e un po' club a luci rosse. L'ipersessualizzazione di un'immagine che, al di là e ben oltre i suoi indubbi meriti fisici e artistici, porta con sé il rischio del confronto, dell'impietoso paragone dell'apparenza, della definitiva vittoria dei lustrini sulla sostanza, sulla "ciccia", direbbe qualcuno. Un peccato, se solo si riflette un poco. Mahmood il talento ce l'ha, ha insomma tutto, ma quel che rimane è la sua immagine.