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Il presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna Silvestro Ramunno (foto del sito dell'Odg dell'Emilia-Romagna)

 

«Affrontare un tema tanto delicato come quello della libertà di stampa e di informazione richiede attenzione, misura e grande senso di responsabilità. Ogni parola, in un contesto simile, pesa, perché può aprire nuove riflessioni o generare fraintendimenti». Con questo spirito il presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, Silvestro Ramunno, ha condiviso a InCronaca il suo punto di vista sulle parole pronunciate da Papa Leone XIV durante l’incontro con i giornalisti dello scorso 12 maggio. «Viene naturale pensare all’atteggiamento di Papa Francesco quando, parlando delle coppie omosessuali, si domandò con disarmante semplicità: "Chi sono io per giudicare?"». Un invito all’umiltà, al rispetto e alla consapevolezza che il nostro sguardo sul mondo ha dei limiti.

Che impressione le ha fatto Papa Leone XIV in questi primi giorni di pontificato?

«Positiva. Non sono un esperto ma mi sembra un pontefice in continuità con papa Francesco sul tema dell’informazione, sul quale anche il suo predecessore si era molto speso. Non ho ancora capito, però, a quale domanda del nostro tempo possa rispondere questa nomina, che, a mio avviso, non è una risposta a Trump. La Chiesa, che ha una storia millenaria, non sceglie sulla base della cronaca ma sulle grandi questioni della società. Mi affiderò alle valutazioni di politologi e vaticanisti».  

Che ne pensa dell’appello accorato («Siate operatori di pace») che il papa ha rivolto ai giornalisti?  

«Il giornalista in sé e per sé non è un operatore di pace ma è una persona che racconta dei fatti. Per un cronista, quindi, seguire le indicazioni di un pontefice significa raccontare i fatti per come sono e dare un’informazione corretta, adempiendo all’importante ruolo sociale che viene svolto per le persone. Leone XIV, infatti, ha detto proprio questo: “Solo un popolo informato può fare scelte libere”. Servono quindi dei giornalisti che siano presidio della democrazia. In questo senso, ha centrato perfettamente un tema che molti altri nel mondo non hanno colto».

Il papa ha anche detto che dobbiamo uscire «dalla Torre di Babele del linguaggio ideologico e fazioso». Cosa rappresenta questa sfida per i giornalisti?

«Si tratta di un tema molto rilevante, che i cronisti devono fare proprio dando informazioni corrette. Affinché si possa uscire da questa torre di Babele, però, servono anche dei lettori che si informino su fonti deontologicamente corrette. L’opinione pubblica dovrebbe quindi affidarsi in maniera più serena ai giornalisti e non perché sono schierati. Per un’informazione migliore serve il contributo di entrambe le parti».

Un altro tema che il pontefice ha posto è quello dell’intelligenza artificiale, che sta portando con sé nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro. In che modo si può preservare l’informazione dai rischi che si corrono con l’uso dell’AI?

«Il papa ha detto una cosa molto vicina alla nuova deontologia. L’articolo 19 sull’intelligenza artificiale del nuovo Codice che entrerà in vigore dal 1° giugno recita, infatti, questa premessa: “Fermo restando l’uso consapevole delle nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale non può in alcun modo sostituire l’attività giornalistica”. Queste parole sono simili a quelle utilizzate dal pontefice, dove per uso consapevole non si intende un utilizzo sapiente dei prompt o dei programmi di AI ma conoscere le implicazioni profonde che queste novità hanno sulla società e sull’istruzione del mondo, a volte anche attraverso parole che potrebbero non essere libere. Le dichiarazioni del pontefice, quindi, sono in forte sintonia con il mondo giornalistico».

Perché i giornalisti tendono a essere faziosi e a voler ricercare il consenso? Cosa si può fare in merito?

«L’informazione di parte c’è sempre stata, ma il limite invalicabile per il giornalista deve essere il rispetto della verità sostanziale dei fatti. Il fenomeno dell’informazione schierata è complesso e porta al suo interno anche un tema legato agli algoritmi, che tendono a valorizzare gli argomenti polarizzanti e generatori di reazioni. A fronte di questo c’è poi anche una polarizzazione della società, che chiede sempre meno un’informazione non schierata e sempre di più un’informazione che confermi le proprie idee. Sono sempre di più i giornali schierati che nascono nel mondo, infatti, rispetto a quelli che si ispirano al giornalismo di matrice anglosassone. La polarizzazione, però, distrugge il giornalismo e su questo dobbiamo impegnarci, perché qui si gioca quel poco di credibilità che ancora abbiamo».

Cosa pensa del fatto che il papa abbia espresso «la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato la verità»?

«Sono parole che condivido pienamente. Noi viviamo all’interno di una democrazia liberale e facciamo fatica a vedere che la maggior parte delle persone in tutto il mondo vive all’interno di paesi che non hanno la libertà di stampa. In quei luoghi, la stampa libera rappresenta un ostacolo per il potere e va quindi fermata. Basti pensare ai tanti detenuti in Cina o ai tanti giornalisti uccisi a Gaza in uno scenario di guerra, situazione questa che rappresenta un buco nero dell'informazione. Tutti dobbiamo impegnarci a tutelare la libertà di stampa, che è un bene dei cittadini».

Che situazione vivono i giornalisti in Italia dal punto di vista della libertà dell’informazione?  

«In Italia ci sono diversi giornalisti sotto scorta e già averne uno in una democrazia liberale è allarmante. Viviamo in un Paese dove la libertà di stampa e di informazione c’è ed è garantita dall’articolo 21 della Costituzione. La tendenza, però, è che invece di fare passi avanti stiamo tornando indietro, soprattutto per la presenza di zone dove il potere economico e criminale è superiore al potere dell’informazione e per i piccoli continui ostacoli posti dalla politica. Volendo fare un esempio, penso alla legge recente che vieta la pubblicazione di ordinanze di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare. Mi domando, quindi: la vicenda del primario di Piacenza, accusato di violenza sessuale ai danni di tante sue colleghe, andava pubblicata? Secondo me sì, perché la cittadinanza deve essere informata, ma la legge pone qualche interrogativo».

Cosa può fare l’Ordine dei giornalisti per tutelare e supportare gli iscritti?

«L’Ordine è un presidio della libertà di stampa e svolge questo ruolo coinvolgendo l’opinione pubblica su questo tema delicato e sostenendo le spese legali dei colleghi che spesso si trovano a dover affrontare querele temerarie. La legge istituiva dell’Ordine n. 69 del 1963 è una vecchia legge che però riconosce ai giornalisti il diritto di critica: noi non siamo passacarte ma persone che applicano il pensiero critico. Finché farà questo, ogni giornalista avrà sempre l’Ordine al proprio fianco».