urbanistica

Maurizio Marchesini

Foto concessa dall'ufficio stampa del gruppo Marchesini

 

«Quella della casa è un'emergenza anche per le aziende e per gestirla serve una collaborazione organica fra imprese ed istituzioni». Maurizio Marchesini, presidente del gruppo omonimo e vicepresidente di Confindustria con delega al lavoro e alle relazioni industriali, è chiaro: le istituzioni devono regolare il mercato delle locazioni e le aziende devono fare la loro parte. Nelle grandi città, e a Bologna in particolare, le case disponibili sono sempre meno con l'esplosione degli affitti brevi e l'aumento del costo della vita che complicano ulteriormente la ricerca di un alloggio. È un problema che da economico diventa sociale in un racconto che deve comunque partire dalle cifre. Per Marchesini sono due i dati fondamentali per fotografare la situazione: la riduzione complessiva dei contratti d'affitto, che secondo il rapporto di Nomisma sull'abitare sono calati di circa il 5% negli ultimi tre anni, e l'aumento dei canoni, che continuano a crescere soprattutto nelle aree urbane dove, nel 2024, si è registrato un aumento attorno al 4,5%. Dopo una carriera imprenditoriale lunga più di trent'anni, che ha portato il gruppo Marchesini ad essere punto di riferimento internazionale per il mondo del packaging, per il “patron” il filtro da utilizzare non può essere che quello delle dinamiche di mercato: «È una questione di domanda e offerta, dove per offerta intendo quella di case in affitto che non è in grado di soddisfare i bisogni del tessuto sociale».

 

Cosa significa per le imprese un mercato degli affitti così problematico?

«Dal punto di vista imprenditoriale la difficoltà di trovare un'abitazione, che sia in affitto o in acquisto, limita la mobilità delle persone che non hanno più la libertà di scegliere in quale territorio vivere e quindi dove lavorare. In questo senso la crescita delle imprese viene fortemente limitata. Dall'ultimo rapporto Istat si vede come il tasso di natalità sia calato ancora di qualche decimale, in un momento di crisi demografica una delle possibilità che hanno le aziende per continuare a crescere è attrarre persone da altri territori. È ovvio che se poi queste persone trovano un lavoro, ma non un'abitazione, il sistema smette di funzionare ed è anche più difficile affrontare il problema quando ci si riferisce a fasce sociali con difficoltà economiche maggiori».

 

Come si affronta un problema del genere? Chi dovrebbe proporre delle soluzioni?

«Tutte le soluzioni devono tenere conto della direzione dettata dal mercato. Se vogliamo soddisfare la domanda, dobbiamo aumentare l'offerta, per esempio il pubblico può cercare di mediare e promuovere interventi privati che tengano in considerazione gli aspetti sociali e non siano semplicemente dettati dalle dinamiche speculative. In parte dovrebbero anche rivolgersi a un mercato controllato dove ci deve essere una collaborazione costante fra le dimensione pubblica e i privati. In questo momento c'è un buco legislativo in questo senso. Le istituzioni devono utilizzare sempre di più gli strumenti della programmazione urbanistica».

 

I privati risponderebbero all'appello? Con che tipo di interventi?

«Ci sono sicuramente tante società che lavorano già in contesti simili, con interventi di tipo immobiliare che tengono conto di vincoli definiti dal pubblico. Si potrebbe pensare a coinvolgere maggiormente i piccoli imprenditori, magari per recuperare immobili che non hanno nessun tipo di valore architettonico e artistico all'interno dei quartieri. So che a Bologna sono già in programma interventi di questo tipo. Per esempio l'ex caserma Casaralta è stata appena venduta a degli imprenditori che vogliono fare queste cose, un altro intervento è programmato su un'area delle ferrovie dello Stato, vicino al corso del Ravone».

 

Cosa ne pensa delle politiche sulla casa portate avanti dal Comune di Bologna?

«Quello del Comune è stato uno sforzo sicuramente prezioso che per forza di cose ha dovuto rispettare i tempi e le regole dell'amministrazione pubblica e quindi della burocrazia. Il privato regolamentato dal pubblico potrebbe muoversi invece con una forza e una velocità completamente diverse. Ben vengano i piani che intende fare il Comune, ma dal mio punto di vista dovrebbero mettere i privati nelle condizioni di investire e realizzare interventi immobiliari».

 

Che progetti sociali potrebbero nascere da una collaborazione organica fra pubblico e privato?

«Bisogna partire dal problema dell'abitare per poi arrivare a progetti che si occupino anche delle criticità legate all'inserimento nel tessuto sociale delle persone. Noi ad esempio gestiamo un programma di reinserimento lavorativo dei detenuti del carcere della Dozza, quando i ragazzi che ne fanno parte tornano in libertà li assumiamo nella nostra filiera. Quando escono dal carcere hanno un grande problema di inserimento sociale, e partendo dalla casa in questo senso si può fare tanto. Un esempio sono i progetti di portierato sociale, che prevedono delle figure inserite direttamente all'interno dei contesti abitativi per aiutare le persone più vulnerabili. Il mondo delle associazioni e del volontariato si occupa già di attività di questo tipo, il problema è che avrebbe bisogno di essere coordinato. Servirebbe una gestione dall'alto per ottenere dei risultati migliori e anche in questo caso potrebbe essere il pubblico a fare da regia».