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«Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila sono riuscita a comprare casa nonostante il mutuo molto alto. Oggi a fatica raggiungo i mille euro al mese per mangiare. E non vedo segni di miglioramento, se va avanti così dovrò mollare e pensare a un piano B». Donatella Bandinu ha un’edicola in via Belle Arti dal 1993 e in poche parole esprime lo stato d’animo e i timori di un’intera categoria. Negli ultimi quattro anni, secondo un comunicato di Unioncamere del 3 gennaio 2024, in Italia sono sparite 2.700 edicole. Ancora più impressionanti i dati sul lungo periodo: dal 2003 ad oggi i punti vendita di giornali nel Belpaese sono scesi da 36mila a 11mila. Le cose non vanno meglio a livello locale. Nella provincia di Bologna, uno dei territori più ricchi d’Europa, dal 2019 al 2023 hanno chiuso i battenti quasi cento chioschi, per la precisione il loro numero è sceso da 268 a 174. Appena meglio, ma non troppo, la situazione in città dove vivono poco meno di 400mila persone che salgono a mezzo milione se si considerano gli studenti e chi viene a lavorare sotto le due Torri da fuori porta. Qui in vent’anni metà delle rivendite di giornali ha abbassato la saracinesca.

Secondo Daniele Carella, titolare dell’edicola di piazza Porta San Vitale dal 1975 e segretario provinciale del Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai (Snag), oggi a Bologna ci sono 130 punti vendita (che comprendono non solo i classici chioschi, ndr) rispetto ai 250 dei primi anni Duemila. «Devo dire che, parlando delle edicole tradizionali, cioè dei chioschi, a Bologna c’è stata “una mezza strage”», sospira Carella. All’origine della crisi, è noto, c’è il crollo nell’acquisto dei giornali di carta legato a un sempre maggiore uso di Internet e dei social anche come mezzo di informazione. Meno note, invece, sono le dimensioni di questo cambiamento.

Se negli anni Novanta del secolo scorso negli allora 40mila punti vendita sparsi per lo Stivale si vendevano oltre sei milioni di copie di quotidiani, il loro numero è sceso a 5,3 milioni venti anni fa, a 4,4 milioni nel 2010, 3 milioni nel 2015, un crollo che si è fermato soltanto negli anni del covid per poi accelerare di nuovo nel 2023, quando - secondo i dati Ads sui primi sei mesi dello scorso anno che hanno preso in considerazione 60 testate - in Italia si è scesi per la prima volta sotto il milione e mezzo di copie, per l’esattezza 1,49 milioni. Per avere un’idea più chiara della débâcle basta confrontare le vendite medie dei quotidiani del 2003 con gli acquisti in edicola del febbraio 2024, ultimo dato disponibile.

Il Corriere della Sera” è sceso da 599.181 copie a 120.725, ha perso mezzo milione di clienti, più dell’80 per cento. “La Repubblica” precipita da 563.476 copie a 68.478, anche qui oltre mezzo milione di acquirenti in meno, quasi il 90%. “Il Resto del Carlino” passa da 172.483 a 50.782 persone che in media comprano il giornale in edicola. Ma la crisi è generalizzata. Anche i quotidiani “di settore” non ne sono risparmiati. Prendiamo il “Sole 24 Ore”: da 201.466 copie si riduce a un modestissimo 20.603. Persino la “Gazzetta dello Sport” crolla da 354.754 a 70.555 copie. Si dirà che sono i tempi che cambiano. Una parte dei giornali di carta è stata sostituita dai siti online e dai social. E in effetti, solo per fare l’esempio del “Sole 24 Ore”, le copie digitali vendute sono 33.687, più di quelle cartacee. E lo stesso accade a “La Repubblica”, al “Fatto Quotidiano” e ad altre testate.

Ma come impatta questa crisi sui giornalai, la categoria che insieme ai tipografi e ai giornalisti ha vissuto prima l’epopea e poi il dramma della carta stampata? «Chi compra il giornale da me fa parte di una clientela di una certa età, dai sessanta in su. Di clienti fissi che comprino i giornali tutti i giorni e che abbiano meno di trent’anni non ne vedo nessuno. Turisti e giovani amano molto i gadget e con quelli sopravvivo», dice Francesco Dattilo, dal 2009 titolare dell’edicola all’angolo tra via Irnerio e via Mascarella. «Oggi riesco a vendere ogni giorno, più o meno, una cinquantina di quotidiani soprattutto tra “Carlino” e “Repubblica”, mentre nel 2009 di quotidiani ne vendevo almeno il doppio, anche se già allora si avvertiva l’inizio di un calo delle vendite». Una disparità notevole tra i giornali venduti nel 2024 rispetto al passato emerge dal racconto di altri edicolanti. «Quanto un’edicola sia frequentata e da chi dipende anche dalla posizione. La mia edicola, che ho dal 1975 e che adesso da ormai due anni è gestita da mio figlio, si trova in zona universitaria, il che per me è vantaggioso anche oggi. Posso dire che la mia è una clientela mista, costituita sia da anziani sia da giovani. Però anch’io vedo i problemi e sono preoccupato. Oggi riesco a vendere, parlando solo dei quotidiani, tra le 200 e le 300 copie al giorno, mentre vent’anni fa vendevo quattro volte tanto», fa notare Carella. «Gli ultimi tre anni sono stati i peggiori. Oggi riesco a vendere tra “Carlino”, “Repubblica”, “Corriere della Sera” e altri quotidiani, una novantina di copie al giorno, il che per me è un bel problema. Faccio notare che dal ’93 fino al 2000 ogni giorno di quotidiani ne vendevo il triplo. È uno sfacelo», fa presente l’edicolante di via Belle Arti.

Di una malattia simile a quella dei giornali soffrono anche i settimanali. Considerando solo la provincia di Bologna, la diffusione media di 11.082 copie di “Panorama” registrata nel 2003 è scesa a 1.360 nel 2020. Un altro settimanale che ha visto la sua diffusione media giornaliera ridursi molto è “L’Espresso”: da una diffusione di 11.297 copie a 8.050. Un ulteriore sintomo della crisi del settore deriva da prodotti che oggi non sono più richiesti da nessuno. Un esempio è costituito dai dvd che, nei primi anni Duemila, periodo del loro avvento, hanno riscosso un successo mondiale, rimpiazzando le vecchie videocassette Vhs. «Una volta mettevo vicino all’entrata una di quelle scaffalature girevoli per i dvd. Mi ricordo che nei primissimi anni Duemila ne vendevo tantissimi. Oggi non me ne arrivano più, anche perché ormai non li compra nessuno», aggiunge Bandinu. A rendere difficile la vita degli edicolanti è la notevole riduzione dello stipendio mensile rispetto al passato: «Fare l’edicolante oggi significa vivere una vita faticosa che non ti fa neanche guadagnare come una volta. Lo stipendio mensile è piuttosto misero. Io riesco a portare a casa tra i 1.000 e 1.500 euro al mese e questo lavorando almeno dieci ore al giorno, sette giorni su sette», dice il titolare dell’edicola di piazza Porta San Vitale. Alla fine, una verità che si deve comprendere è che «ormai molti edicolanti continuano a lavorare solo per raggiungere i contributi necessari per andare in pensione – prosegue -. Una volta raggiunti gli anni di contributi, non resta altro da fare che chiudere la saracinesca. Nel 2024 a nessuno verrebbe in mente di cedere la propria edicola a un possibile acquirente». Fa riflettere da questo punto di vista quanto riportato sul sito dello Snag. «Oltre 2.000 Comuni sono senza una rivendita di giornali e altrettanti a rischio desertificazione. Dal 2018 ad oggi si registra una riduzione del 26% dei punti vendita esclusivi. Oggi sono poco più di 11.000 e, di queste, quasi la metà svolge ulteriori attività rispetto alla vendita di quotidiani e periodici che resta comunque prevalente. «Oggi, con il 18,62 per cento di aggio (la percentuale di guadagno sul prezzo di copertina, ndr) non si può creare un guadagno che ti permette di mantenere una famiglia: tra l’altro, lavorando 13 ore al giorno, anche il sabato e la domenica. Per il 2024 siamo al momento privi di qualsivoglia stanziamento pubblico di sostegno. Rischiamo di tornare ai tassi di chiusura ante covid e di perdere altre 2.000 edicole. Il che vuol dire che tanti comuni, tanti quartieri e tante zone del territorio rimarranno senza stampa», nota il presidente nazionale dei giornalai Andrea Innocenti. A rendere più difficile il lavoro delle edicole è il fallimento o la mancata transizione digitale dei quotidiani italiani. In America un colosso dell’informazione come il “New York Times” è riuscito in anni di declino della carta stampata come il 2010 e il 2011, periodo in cui si era diffuso il motto “information wants to be free”, a salvarsi dalla bancarotta. Ciò fu possibile grazie alla scelta all’inizio apparentemente suicida ma poi rivelatasi audace di convertire il proprio giornale cartaceo in testata digitale e di metterlo a disposizione degli utenti attraverso la sottoscrizione di un abbonamento. In Italia un miracolo simile sembra lontano e surreale. Nel momento di maggiore difficoltà il “New York Times” stava per vendere la propria sede costruita da Renzo Piano e poteva contare sulla fedeltà di oltre tre milioni di lettori. Oggi il “New York Times” ha quadruplicato il numero dei suoi lettori e ha il doppio dei redattori rispetto a dieci anni fa. «Come edicolante posso dire che in Italia esistono circa 9.000 testate tra locali e nazionali e nessuna di loro, neanche quelle più solide come il “Corriere della Sera”, ha tre milioni di lettori. Posso anche garantire che chi ha provato a passare al digitale sottoscrivendo un abbonamento, dopo un po’ di tempo è tornato in edicola e “si è riconvertito” al giornale cartaceo perché la carta stimola di più la curiosità e l’attenzione di quanto faccia uno schermo», fa notare Carella. Resta da chiedersi come facciano le edicole a non chiudere. Ciò che agli edicolanti appare come un’ancora di salvezza è costituito da prodotti editoriali che piacciono a un pubblico più giovane. Di questi le carte dei Pokemon sembrano avere un successo tale da attirare clienti anche adulti. «Le carte dei Pokemon mi aiutano a sopravvivere. Tendenzialmente i bambini chiedono le singole bustine da 10 carte mentre i ragazzi più grandi, diciamo tra i venti e i trent’anni, sono disposti a spendere anche più di 50 euro per le maxiconfezioni. Non posso dire lo stesso per i giornali, purtroppo. Ormai da me li comprano gli over 60», afferma Bandinu. Colpisce in mezzo a tanta rassegnazione la decisione di un uomo come Franco Montorro, ex giornalista sportivo, il quale nel 2022 ha deciso di aprire un’edicola nel Donatella Bandinu, dell’edicola di via Belle Arti, teme di non farcela più e pensa a un piano B. Francesco Dattilo, dell’edicola di via Irnerio, dice di sopravvivere con i gadget. Una scelta non facile sia per il periodo sia per il settore. Eppure, nonostante le difficoltà, Montorro si ritiene soddisfatto di quel cambiamento, soprattutto per il rapporto che ha instaurato con la gente. «Se dovessi fare un bilancio della mia esperienza di giornalaio dovrei considerare due aspetti – afferma -. Economicamente direi che c’è un pareggio rispetto a quanto guadagnavo prima, più o meno siamo sui 2.000 al mese, mentre umanamente, come contatto con le persone, parlerei di successo». Il pubblico dell’edicola di Montorro è costituito prevalentemente da anziani. Tuttavia è proprio la vicinanza della clientela a dargli la forza e l’entusiasmo per andare avanti: «Una cosa bella della mia nuova vita è il fatto che la mia edicola è diventata un punto di riferimento, un luogo di conversazione, di incontro. Chi viene da me spesso si ferma a scambiare quattro chiacchiere, non si limita a comprare il giornale o la rivista che gli interessa. Questo calore l’ho percepito anche quando ho deciso di avviare una campagna di crowdfunding che è tuttora in corso e che si è rivelata un successo per l’alto numero di partecipanti». Diversamente da altri edicolanti, il prodotto che Montorro riesce a vendere più facilmente, oltre alle carte Amici Cucciolotti, Pokemon e Panini, sono riviste come la “Settimana Enigmistica” e soprattutto “TV Sorrisi e Canzoni”. «Tendenzialmente ogni giorno vendo più o meno una sessantina di quotidiani, ma se c’è un prodotto editoriale che va molto è “TV Sorrisi e Canzoni”. Il martedì, per esempio, escono le riviste con indicati gli appuntamenti televisivi tra film e programmi per il resto della settimana e la televisione attira ancora tantissimo pubblico. Per questo il martedì la mia edicola è presa d’assalto». Al di là dell’entusiasmo per l’affetto da parte delle persone, lavorare in edicola oggi sembra un’impresa impossibile. Lo stesso Franco Montorro ne è consapevole. «Quanto andrò avanti? Difficile dirlo. Andrò avanti fino a che la mia edicola sarà frequentata».