Quindici

In Inghilterra una ragazza di 16 anni ha denunciato di essere stata violentata all’interno di Horizon World, la realtà aumentata di Meta. L’avvocata esperta del diritto di internet e delle tecnologie, specializzata in diritto di internet, spiega a che punto è la normativa nel combattere questi reati e quali sono gli ostacoli incontrati dalle vittime

 

Ascoltare al tg o leggere sul giornale una notizia di stupro è ormai talmente comune che è raro stupirsi. Se non si tratta di un caso particolarmente efferato – che coinvolge una ragazza molto giovane, commesso da un ragazzo minorenne, o peggio, più di uno: due, tre, cinque o addirittura sette – passa inosservato come qualsiasi altro fatto di cronaca. Eppure, qualche settimana fa una ragazza di 16 anni ha denunciato uno stupro molto meno comune, di cui forse, però, sentiremo sempre più parlare: uno stupro subito nel metaverso. A inizio gennaio una ragazza britannica ha raccontato alla polizia di essere stata aggredita sessualmente all’interno di Horizon World, il metaverso di Meta. Si tratta di una realtà aumentata a cui si può accedere attraverso un visore VR, e lo scopo è quello di interagire con gli altri avatar che frequentano lo stesso spazio virtuale. Si tratta di un caso molto controverso che suscita inevitabilmente dubbi e riflessioni; una in primis riguarda la natura stessa dello stupro, che spesso viene confusa con la goliardia o l’impulso sessuale. La stessa polizia inglese ha dichiarato che «c’è un impatto emotivo e psicologico reale sulla vittima» quindi, casi come questo dimostrano quello che i movimenti femministi ripetono ormai quasi allo sfinimento: le violenze o le molestie sessuali hanno molto più a che fare con il potere e il controllo che non con la sessualità; tant’è che a subire uno stupro può essere anche un avatar.

Ma è possibile commettere reati all’interno delle realtà aumentate? E se si tratta di violenza cosa entra in gioco? «Esistono molteplici reati che possono essere compiuti nel metaverso: stalking, furto d’identità, diffamazione, truffa ed estorsione, per non parlare di fenomeni come il riciclaggio ed il revenge porn» spiega Chiara Micera, avvocata da oltre trent’anni e fondatrice a Bologna dello Studio Legale Micera che, nel corso del tempo, si è specializzato anche in diritto di internet e di nuove tecnologie.

Ma a distinguere questo genere di reati dalle violenze sessuali e dalle aggressioni è il fatto che, in questo caso, gli ordinamenti giuridici presuppongono che ci sia un contatto fisico tra l’aggressore e la vittima; eppure «nell’esperienza pratica la giurisprudenza ha più volte sanzionato, a titolo di violenza sessuale, condotte prive di contatto fisico: si tratta di casi in cui gli autori avevano costretto le vittime a ricevere o inviare materiale a carattere sessuale», continua Micera. Questo potrebbe significare che, nell’ipotesi di violenza sessuale attraverso mezzi informatici, la mancanza di un vero e proprio contatto tra i corpi non debba necessariamente escludere la commissione del reato che dipenderebbe, però, dal caso specifico.

Per questo secondo Micera «sarebbe auspicabile introdurre una nuova normativa, nonostante ci siano delle difficoltà pratiche non indifferenti; il legislatore, infatti, si troverebbe di fronte al compito di tutelare adeguatamente le vittime, prestando però, al tempo stesso, attenzione a non estendere eccessivamente le condotte punibili. Diverso sarà nel momento in cui verranno introdotte vere tecnologie full dive, cioè strumenti che permettono una totale immersione dell’individuo, consentendo di vivere un’esperienza quasi identica alla vita reale (com- presi i cinque sensi). In questo caso sarebbe infatti molto più agevole equiparare, di fatto, una violenza avvenuta nel mondo reale con una verificatasi nel metaverso».

Tra l’altro, quello che ha coinvolto la ragazza 16enne in Gran Bretagna, non è l’unico caso di aggressioni in una realtà aumentata: «Purtroppo, eventi come questo si sono già verificati in passato: quello della beta tester palpeggiata durante le fasi primordiali di Meta nel novembre 2021, o il caso della ricercatrice Nina Jane Patel – sempre a fine 2021 - e ancora le molestie subite da un’altra donna, appartenente all’organizzazione SumOfUs, nel maggio 2022» ha ricordato Micera. Inoltre, questi citati sono solo gli avvenimenti che hanno riguardato l’ambito del “metaverso”, ma le circostanze in cui possono avvenire simili abusi si estendono a qualsiasi gioco multigiocatore in realtà virtuale.

Comunque, per quanto riguarda i risvolti giuridici, ad oggi non si può parlare di veri e propri passi in avanti; si tratta, infatti, di un tema complesso che deve tenere insieme una serie di elementi diversi. «Uno dei primi ostacoli riguarda la necessità di stabilire l’ambito giurisdizionale: il metaverso è un ambiente virtuale che attraversa confini geografici; per questo determinare quale giurisdizione abbia competenza su questi casi può essere complicato. Inoltre, le leggi variano tra i diversi stati e stabilire quale sistema legale debba applicarsi può essere problematico» racconta Micera. Ma non solo, per procedere verso questa direzione è necessario «fornire una unanime definizione di crimine virtuale, soprattutto a livello europeo, perché gran parte dei paesi non ha leggi specifiche che affrontano even- tuali abusi nel metaverso».

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo al consenso e alla consapevolezza dal momento che «nel metaverso, le esperienze possono essere molto immersive e realistiche; infatti, anche se non c’è un danno fisico diretto, l’impatto emotivo e psicologico sulla vittima può essere significativo e questo deve essere adeguatamente considerato quando si valutano le conseguenze di un abuso virtuale». A causa di tutte queste difficoltà, quindi, «i risvolti sono stati soprattutto pratici, con l’introduzione di determinate forme di sicurezza a carattere preventivo, volte ad impedire in principio la possibilità che eventi simili possano reiterarsi», continua l’avvocata.

Infatti, Mark Zuckeberg, il creatore di Horizon World, si è giustificato affermando che questo genere di cose non possono accadere nel suo metaverso perché esisterebbe una sorta di “bolla”, una zona protetta che gli utenti possono scegliere di attivare quando si sentono minacciati. Si tratta di una reazione molto comune quando si parla di stupro nel mondo reale e coincide con la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”: la colpevolizzazione della vittima per quello che ha subito (perché non hai usato i denti? Come mai non hai reagito? Come eri vestita?). «Nell’esperienza della professione è molto comune la tendenza a traslare le responsabilità in capo alla vittima; spesso capita che, proprio a causa di ciò, sia la stessa vittima a sentirsi ingiustamente colpevole. Nel caso specifico, il rischio è che si cerchi di incolpare la vittima per non aver attivato la safe zone, cioè la “bolla” protettiva recentemente in- trodotta», ha detto ancora l’avvocata. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere di default misure di sicurezza, senza la possibilità di disattivarle, anche perché nei casi di violenze o molestie sessuali è comune che la vittima, a causa di condizioni psi- cologiche precise, non sia in grado di reagire. Tuttavia «l’introduzione di distanziamenti forzati tra gli avatar, porterebbe con sé il rischio di peggiorare la qualità dell’esperienza per migliaia di persone, con conseguente massiccia diminuzione di affluenza» conclude l’avvocata.

Infine, un possibile passo in avanti potrebbe essere quello di responsabilizzare di più chi gestisce le piattaforme, dato che identificare le singole persone spesso può essere molto complesso, se non impossibile, perché non sempre gli avatar rimandano a persone fisiche specifiche. «Senza dubbio i gestori sono i soggetti che possono meglio rintracciare e identificare gli autori di eventuali crimini all’interno dei propri ecosistemi, nonché reagire in tempi brevi - precisa l’avvocata - per questo in attesa di una nuova normativa che permetta di fornire una tutela più adeguata, i gestori dei diversi mondi si troveranno a dover tutelare i propri utenti attraverso i mezzi ordinari a loro disposizione: redazione di policy e codici di condotta chiari e stringenti, con ammonimenti e allontanamenti dalla piattaforma, anche definitivi, per i trasgressori. Oltre, ovviamente, a dover segnalare alle autorità competenti eventuali condotte anche solo potenzialmente delittuose».

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 17 del Quindici, del 29 febbraio 2024.

Ragazza con visore Vr. Immagine di Free Images