Povertà

“Il bene che c’è e che non si dice” esiste in questa terra d’industrie, c’è e va raccontato. Nella provincia bolognese, dove la disoccupazione è fra le più basse d’Italia e le fabbriche assumono operai specializzati, ingegneri e informatici, resta una sacca di povertà invisibile, nascosta fra la nebbia e il benessere dell’Emilia-Romagna. È a questi vecchi e nuovi poveri che guarda la Caritas con spirito critico e nuovi progetti per aiutare chi non ha più una casa, come gli alluvionati, o chi una casa non ce l’ha mai avuta. «L’11 novembre faremo il convegno annuale a livello diocesano. Sarà all’interporto cittadino, dove, insieme al cardinale Zuppi, inaugureremo un nuovo centro d’ascolto». Queste le parole di don Matteo Prosperini, direttore della Caritas Bologna, intervistato sulle novità dell’ente ecclesiastico. La scelta di aprire il nuovo centro proprio all’interporto non è casuale: là ci sono molti lavoratori della logistica, spesso migranti, che hanno bisogno di un vero aiuto umano ed economico. Questi potranno rivolgersi a due operatrici della Caritas. «Nella nostra diocesi ci sono più di cento centri d’ascolto che sono gestiti dalle parrocchie locali – spiega il sacerdote –; adesso vogliamo andare dentro ai luoghi dove le persone chiedono aiuto».  La Caritas ha già aperto un centro all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove i pazienti e i loro familiari possono trovare conforto. «Questi ultimi, inoltre, avranno presto una casa dove alloggiare nel periodo di degenza dei parenti malati», dice don Prosperini.

 

Nei centri d’ascolto le persone chiedono un posto dove vivere e dormire: «la casa è l’emergenza del momento – continua il direttore –, il bisogno dei bisogni». Non la chiedono solo migranti e uomini soli, ma anche studenti e addirittura lavoratori che, nonostante il contratto a tempo indeterminato, vivono sotto la soglia di povertà. «Come Caritas siamo molto preoccupati per la crisi abitativa – dice Prosperini –. Avevamo già aperto una casa per fornire alloggio a sei universitari in difficoltà e, visto il successo dell’iniziativa, abbiamo deciso pochi giorni pochi giorni fa di aprirne una seconda». Ad oggi, quindi, ci sono dodici studenti che vivono nei locali messi a disposizione, pagando un contributo per l’affitto equo e umano. «E nel 2024 ci sarà una terza abitazione per i giovani lavoratori che non riescono ad arrivare a fine mese» fa sapere il sacerdote.

 

Alla domanda su quali fossero state le soddisfazioni maggiori degli ultimi anni, non ci sono dubbi: «Le raccolte fondi per il covid e l’alluvione in Romagna – spiega il prelato –, ma anche Il progetto di queste quattro case, che non sarebbe stato possibile senza una rete così capillare di volontari.  Abbiamo costruito un gruppo di lavoro con un obiettivo comune: leggere i segni del tempo». A volte c’è il preconcetto che la Caritas sia il luogo dell’assistenzialismo per antonomasia, dove “i disperati vanno a mangiare”. «È vero, facciamo assistenza – dice il sacerdote – ma la questione è più complessa. Insieme al vescovo cerchiamo di capire quali siano i reali bisogni delle persone, c’è una povertà emergente che dobbiamo vedere in anticipo. Da alcuni anni vengono alla nostra mensa anche gli studenti universitari e i lavoratori assunti; adesso è normale, prima avremmo sgranato gli occhi». E sulla raccolta fondi per la recente alluvione in Romagna ci sono ottime notizie: «I donatori ci hanno dato 150 mila euro finora – racconta –. Questi soldi sono il frutto della fiducia dei cittadini verso la Caritas: li daremo alle parrocchie dei paesi coinvolti che, a loro volta, distribuiranno gli aiuti alla popolazione».

 

Gli alluvionati, i migranti, gli studenti e i lavoratori a cui non basta lo stipendio sono solo alcuni fra i fantasmi della Pianura Padana, i nuovi poveri dimenticati da molti, ma non da tutti. Resta una speranza sotto le due torri, una Caritas a testimonianza del“ bene che c’è e che non si dice”.

 

Nell'immagine don Matteo Prosperini. Foto concessa gentilmente da Caritas Bologna