La perla
«Ho comprato casa a giugno, lascio immaginare»: questa la risposta secca di Sara (nome di fantasia), dipendente di La Perla, alla domanda su come questa situazione di crisi dello stabilimento incida su progetti futuri e sulla vita personale delle dipendenti. È appena uscita dall’azienda per la sua ora di pausa in cui pranzerà. «Ad agosto lo stipendio è arrivato con molte settimane di ritardo nonostante il poco preavviso nel comunicarlo: per un periodo ho avuto il frigo vuoto, le bollette da pagare e il pensiero dei libri per mio figlio, che a settembre avrebbe ricominciato la scuola. Temevo di non riuscire a coprire quella spesa – racconta avvolta nel camice bianco che caratterizza tutte le dipendenti dell’azienda –. Le ferie estive sono state bruttissime, condite dalla costante incertezza di uno stipendio». Sara parla di bisogni primari sui quali non si ha certezza se si è dipendenti di La Perla, «il 10 novembre dovrebbe arrivarci la paga ma staremo a vedere, secondo le voci che girano non vedremo un euro, ma speriamo si sbaglino». Una collega a fianco a lei annuisce a tutto ciò che Sara racconta, lei può capire bene quelle parole, e aggiunge anche che «per chi non ha la fortuna di abitare vicino al lavoro, anche i trasporti stanno diventando un lusso che non possiamo permetterci, che si parli di benzina o di abbonamento ai mezzi pubblici».
Antonella Grasso Conte e Stefania Prestopino, rappresentanti Rsu, confermano questo sentimento generale all’interno della fabbrica, «il declino emotivo dovuto all’incertezza sulla retribuzione cresce ogni giorno e ci accomuna tutti qui dentro, oltre all'impossibilità di investimenti per il futuro». Da quando la famiglia Masotti, fondatrice dell’azienda, ha deciso di vendere nel 2008, si sono susseguite varie proprietà senza riuscire a dare un nuovo volto al marchio, «alla fine abbiamo pagato solo i costi delle ristrutturazioni volute dai nuovi proprietari, ma la richiesta del cliente era sempre del prodotto tradizionale», spiega Grasso Conte. Anche la riduzione dei punti vendita negli anni è stata alta, «avevamo negozi nelle città più belle d’Italia, oltre che qui nella Galleria Cavour. Ora rimangono solo due boutique: una a Roma, recentemente ridotta per dimensione, e una alla Rinascente di Milano – racconta Prestopino –. Non è sopravvissuto nemmeno un negozio a Bologna, alcuni clienti per questo motivo ci danno già per falliti». Altro tasto dolente è il riciclo generazionale: «Nel 1998 quando sono arrivata a La Perla ero la più giovane e lo sono tutt’ora – dice Grasso Conte –. Negli uffici è passato qualche giovane ma chi riesce a trovare di meglio scappa».
Nell'immagine l'esterno dello stabilimento La Perla. Foto di Martina Rossi