La storia

È da mesi che sto cercando una stanza a Bologna. Qui è molto difficile trovarla perché i prezzi sono alti e le offerte finiscono subito e, soprattutto, perché i proprietari delle case preferiscono affittare su Airbnb piuttosto che agli studenti. Per caso, ho visto un appello su Facebook: «Cerco una ragazza che abbia voglia di fare parte della mia esperienza bolognese di autonomia. Sono in carrozzina per una paralisi cerebrale dalla nascita e ho voluto con tutte le mie forze raggiungere la città per la troppa voglia di vita! Avrei bisogno di un aiuto da parte della mia futura coinquilina per la messa a letto e che la mattina riesca a darmi una mano per vestirmi, fare colazione e uscire di casa. In cambio non chiedo l'affitto e il weekend è libero».
Elena offre di dividere la sua abitazione in un quartiere residenziale, proprio accanto all'ospedale Maggiore. Ho riletto più volte il suo appello. Mossa da curiosità l'ho contattata e decido di andare a incontrarla, per capire se la sua proposta di autonomia abitativa può essere una soluzione per me, ma anche per provare a ricucire il senso della mia vita, poiché mia madre ha una disabilità del 90%, a causa della poliomielite.
Arriva con i suoi capelli viola, il piercing al naso e alla bocca. Mi viene incontro con la sua carrozzina elettrica. Mi racconta che ha deciso di trasferirsi dalle colline di Marzabotto, perché ha trovato lavoro in città e perché i suoi genitori, con l'età che avanza, hanno cominciato ad essere stanchi. Lei non può fare a meno della presenza di una persona, nel bene e nel male, perché la paralisi l'ha colpita in una zona del cervello che controlla l'equilibrio. Ha bisogno di qualcuno per tutto, o quasi. Ha bisogno di una mano per alzarsi dalla sedia e per stare in piedi. Qualcuno che le dia un aiuto in bagno, per lavarsi, per prepararle da mangiare.
L'indipendenza che cerca Elena non è fare tutto da sola. Ma potere sperimentare la libertà, vivendosi appieno e avendo un quotidiano il più possibile autonomo. Lo prevede anche la legge 162 del '98, che ha aggiornato la 104/92, il riferimento normativo per le persone con disabilità.
Saliamo in casa e mi mostra la stanza, una doppia da dividere con lei. L'appartamento non è molto grande, ma è luminoso. Elena intanto mi spiega la sua idea: «Il mio progetto di autonomia è in un certo senso una ribellione. Ho lottato per questo. Perché, di solito, quando le persone con disabilità chiedono di essere indipendenti e di uscire dalla famiglia, vengono messe in un appartamento tutte insieme con un operatore o un educatore. Si fa per risparmiare e per comodità. Invece io voglio decidere della mia vita». Elena fa una pausa e poi, ridendo, si sfoga: «Già sono stanca dei problemi che ho, non voglio vivere con altre persone con disabilità, voglio cambiare. E poi, vedi, metterci tutti insieme nello stesso luogo è solo una questione di economia. Non si pensa che io, ad esempio, possa avere un ragazzo, possa avere voglia di intimità. Questo è un vero e proprio tabù».
L'aiuto a fare due passi e si sistema sulla poltrona. Inizia a raccontarmi del suo lavoro: «Io dormo poco e faccio molto», dice. «Esco la mattina e ritorno la sera. Faccio radio da 10 anni, ho due programmi miei e collaboro con alcune riviste online. Adoro scrivere e lavoro come social media manager».
C'è molta sintonia tra di noi, ma non credo di farcela, dopo la mia mamma, a convivere ancora con una forma di disabilità. Opto per un'altra scelta, ma le prometto che ci sentiremo. Le strade poi, spesso si perdono, ma altrettanto spesso tornano a ricongiungersi.
La incontro di nuovo alcuni mesi dopo per berci un caffè e sapere come va il suo progetto di autonomia. Sono andata a prenderla a casa. È contenta, si trova bene con la ragazza con cui vive, ma è costretta a trovarne un'altra perché non può più rimanere.
Dice che la ricerca della coinquilina sta dando i suoi frutti: «I social mi permettono di arrivare dappertutto, sono le mie gambe che mi portano dove io non posso arrivare». É colpita dal largo numero di ragazze che si sono proposte e dall'eterogeneità di chi ha risposto all'appello. A contattarla sono state soprattutto studentesse e lavoratrici interessate a fare un'esperienza umana e sociale.
Ma non sono mancate neppure le polemiche: ci sono stati commenti infelici sotto i suoi post che l'accusavano di sfruttamento del lavoro. Elena ci è rimasta male: «Offro la possibilità di stare a Bologna, che è molto difficile. Credo anche nello scambio di favori: io ho una stanza che metto a disposizione e in cambio qualcuno mi “presta” le sue gambe e braccia. Non è un lavoro: si crea anche un legame e con la mia coinquilina di adesso usciamo, proprio come due amiche».
Decidiamo di farci un giro in centro e mangiarci qualcosa, abbiamo entrambe fame. Ma è complicato anche solo immaginare dove. E questo perché di locali accessibili ce ne sono pochi: «Sono costretta a stare anche fuori. Un posto che ti posso indicare per andare a pranzo non ce l'ho, in molti negozi non posso entrare e poi c'è il problema della toilette. Quelle volte che c'è un bagno per disabili, magari non ci sono le maniglie per aggrapparsi e invece per me sono fondamentali».
Prendiamo l'autobus ed Elena mi chiede di stare dietro di lei e di passarle la tracolla appesa alla parte posteriore della carrozzina. «Una volta, sul bus, avevo la borsa dietro e chi c'era con me era andato a passare l'abbonamento. Proprio in quel momento mi hanno rubato il portafoglio. Ho capito che se vedono persone un po' più deboli se ne approfittano, io non posso reagire. Magari, se ci fossi stata tu al mio posto, non sarebbe successo. Nella vita di tutti i giorni devo fidarmi molto degli altri, nei bar devo passare il borsellino perché magari non riesco a pagare direttamente. Devo fidarmi di chi prende i miei soldi e spesso penso: e se mi fregasse?»
Scegliamo un caffè vicino Piazza Maggiore. Stiamo fuori, è una bella giornata e poi così è più facile muoversi.
Elena osserva le persone camminare e a un certo punto vedo il suo viso corrucciarsi, chissà che pensiero l’attraversa. «Una delle cose che mi dà più fastidio – dice con lo sguardo fermo – è che spesso le persone si rivolgono a chi è con me, invece che a me direttamente. Questo capita, ad esempio, quando devo ordinare. Lo fanno perché hanno paura, non sanno come comportarsi, vedono la carrozzina e magari pensano che non sono in grado di comunicare».
Arrivano i panini. Ridiamo. C'è complicità, è bello passare del tempo con lei, come con un'amica. Sono curiosa della sua vita, di quello che fa. E un po' la invidio. Può sembrare paradossale, ma invidio il suo coraggio, la sua determinazione e il suo amore per ogni cosa.
Stasera Elena ha una cena a casa sua e intanto la osservo mentre pubblica delle storie su Instagram. Abbiamo quasi la stessa età (ventisette anni), le stesse passioni, viviamo nella stessa città. Eppure lei deve lottare per cose che a me sembrano scontate. Nonostante questo, mentre mi allontano dopo averla salutata, la sento parlare al telefono di progetti futuri. Nuove collaborazioni, nuove idee e nuovi contatti. E mentre me ne vado sorrido: la vita scorre e non si ferma anche se sembra che ci siano ostacoli enormi da superare. Ma, in qualche modo, si fa spazio lo stesso e lotta.
Proprio come Elena.